Il cambio merce così come il reso sono criticità con le quali i titolari di e-commerce o di negozi di abbigliamento devono fare i conti. Soprattutto il reso è una situazione che fa venire l'”orticaria” agli esercenti, che devono affrontare i costi economici da gestire e le difficoltà di natura logistica nel recuperare un prodotto rispedito al mittente. Arriva però una brutta notizia per i consumatori: il reso facile potrebbe ben presto scomparire.
La tendenza sembra già piuttosto avviata negli Stati Uniti ed è sbarcata in Europa. C’è un certo fermento anche in Italia, dove il cosiddetto reso facile o reso gratuito potrebbe ben presto sparire.
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Addio al reso facile: i motivi
Le grandi aziende stanno iniziando a dire addio al reso gratuito per tanti motivi. Da un punto di vista ambientale la moda da tempo ha imboccato una strada green ed ecosostenibile e gli e-commerce sono chiamati in causa essendo una parte integrante del mercato.
Migliaia di camion e furgoncini che vanno su e giù per le regioni italiane a ritirare o consegnare articoli che poi saranno rispediti al mittente non sono certo un buon viatico per un commercio sostenibile.
C’è poi da fare un discorso economico: per le aziende sta diventando insostenibile gestire i costi dei resi, poiché sono in continuo aumento. Si parla anche di reso compulsivo poiché i clienti acquistano tanti articoli senza leggere attentamente la scheda prodotto, o magari senza averne realmente bisogno.
Consapevoli del fatto di poter restituire comodamente gli articoli acquistati senza ulteriori spese, procedono ad uno shopping compulsivo che aumenta l’inquinamento e i costi per le aziende. Gli e-commerce e i negozi stanno quindi pensando di scaricare le spese di spedizione sulle spalle dei consumatori, costringendoli quindi ad uno shopping più oculato e consapevole.
C’è ancora un’altra problematica di natura commerciale. Negozi ed e-commerce devono gestire l’inventario con grande oculatezza, altrimenti si rischiano problemi di ammanchi o di giacenze. Nel momento in cui si spedisce un articolo ad un cliente, quello stesso articolo non è più disponibile. Se poi quell’articolo ritorna indietro, rappresenta chiaramente un problema per le aziende.
In sostanza le aziende vogliono ridurre al massimo i resi per incrementare i guadagni e limitare le spese da sostenere in caso di cambio o sostituzione della merce.
I comportamenti scorretti dei consumatori
Fino a poco tempo fa il reso facile, o meglio gratuito, era considerato un plus per negozi ed e-commerce. Nell’ottica di un mercato sempre più cliente-centrico, offrire ai consumatori la possibilità di restituire gratuitamente un articolo rappresenta un gesto di cortesia e gentilezza che rende molto più fluido l’acquisto. Anche troppo!
Molti clienti infatti ne approfittano e acquistano indiscriminatamente, consapevoli di poter restituire il prodotto come e quando vogliono senza spese aggiuntive.
Quando le case dei consumatori hanno iniziato a trasformarsi in camerini dove provare i vestiti acquistati, allora le aziende hanno iniziato a prendere delle contromisure. Alcuni clienti addirittura indossano i vestiti prima di restituirli, danneggiandoli o rompendoli, quindi le aziende non possono più rivenderli. Una situazione del genere causa fenomeni di out of stock e ingenti perdite economiche.
Per porre un freno a questa situazione i grandi colossi dell’e-commerce stanno introducendo delle limitazioni che rendono più complesso il reso gratuito, che in alcuni casi viene addebitato direttamente ai clienti.
Cosa stanno facendo i colossi del web
Colossi del web come Amazon, Abercrombie & Fitch, Anthropologie, J. Crew, H&M e Zara stanno correndo ai ripari. Secondo i dati forniti dalla National Retail Federation, nel 2022 chi ha acquistato pacchi contenenti prodotti ne ha rispedito indietro circa il 17% per un totale di 816 miliardi di dollari.
I rivenditori, secondo la società di servizi Inmar Intelligence, spendono 27 dollari per gestire il reso di un articolo da 100 dollari acquistato sul web. Per questo motivo i rivenditori hanno deciso di stoppare l’addebito sulle commissioni per restituire gli articoli, che secondo il New York Post equivale all’81%.
Secondo un rapporto della società di logistica Happy Returns oltre 4 commercianti su 5 non accettano più la restituzione gratuita. Numeri importanti che fotografano un cambiamento evidente nel mondo degli e-commerce, in costante evoluzione e pronti ad adeguarsi alle nuove dinamiche del mercato.
Cambiamenti importanti ce ne sono nel Regno Unito, dove Zara ha deciso di addebitare 1,95 sterline ai consumatori che decidono di restituire un capo acquistato online. I resi avvengono nei punti di consegna gestiti da terze parti, come ad esempio gli uffici postali. Al momento questa politica sembra esclusa dai negozi fisici, dove per ora i clienti possono restituire i capi acquistati senza addebito. Altre aziende come Asos nel Regno Unito e Uniqlo in Giappone si stanno “convertendo” a queste politiche che tendono ad abolire la restituzione gratuita.
Reso facile: la situazione in Italia
La situazione sta iniziando a cambiare anche in Italia, dove Abercrombie ha fatto sapere che a partire dal 24 gennaio 2024 la merce si potrà restituire o scambiare solo tramite il corriere selezionato dall’azienda o in un negozio.
Zara, come nel Regno Unito, prevede il reso gratuito solo se il prodotto viene portato in negozio. In alternativa è possibile ricorrere al servizio di ritiro a domicilio di Zara al costo di 4,95 euro che verrà detratto dal rimborso.
Yoox invece non fa mai il reso gratuito, che è a carico del cliente. In caso di cambio invece la cifra da sostenere viene stornata direttamente dal totale del rimborso. La situazione sta dunque cambiando velocemente e ben presto tutti gli e-commerce, piccoli o grandi, potrebbero sospendere definitivamente il servizio di reso gratuito.
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